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XII. Dio si è fatto Cane

Giracchiando per il web il profeta ha trovato questo post in un forum. Ha notato subito che l’autore è stato colto da grandissima  illuminazione anubistica. Ha cercato di rintracciare l’autore ma non è riuscito. Prega l’autore nel caso legga le presenti sacre scritture di contattare il profeta perchè riceverà la nomina ad honorem di Grande Maestro dell’Anubismo

Fin da piccolo, la prima grande lezione che appresi fu che l’uomo disprezza e tende a distruggere tutto ciò che gli è inferiore. Nella forza, nella dignità e nella moralità.

Appresi questa lezione osservando un uomo e suo figlio picchiare un cane. Si trattava di un randagio di strada, uno di quei cani che non hanno mai fatto male a nessuno e che ci pensano tre volte ad avvicinarsi anche se gli offri cibo e loro non mangiano da due giorni.

L’uomo, se proprio così vogliamo chiamarlo, aveva trovato il cane nel suo cortile, evidentemente era passato attraverso le sbarre di un cancello, e lo stava picchiando selvaggiamente con un tubo di gomma. Il cane guaiva e cercava di scappare, ma non riusciva a evitare i colpi di quell’uomo. Quando riusciva ad allontanarsi arrivava il figlio di quel tizio che, con una freddezza atipica per un dodicenne, lo prendeva a calci rimandandolo verso il padre.

Il cane si raggomitolò in un angolo del cortile cercando di farsi piccolo piccolo, così piccolo da diventare insignificante, da essere troppo piccolo per essere colpito da un tubo di gomma. A quel punto il padre aprì il cancello e cacciò il cane a pedate. Il cane non scappò neppure, si allontano piano. Poi si avvicinò a una pozzanghera e bevve acqua iridescente di nafta. Si spostò un po’ più in là, con la lingua penzoloni, barcollando, si accasciò sotto a un cassonetto della spazzatura, poggiò la testa per terra ansimando e poi smise di respirare.


Si dice fedele come un cane ed è così, perché un cane intelligente non morderà mai la mano del padrone. E il padrone come ricambia il proprio amico? Spesso maltrattandolo, abbandonandolo, affamandolo, lasciandolo al freddo anche nei giorni di tempesta.


L’uomo culturalmente disprezza i cani, e lo appresi quando fui un po’ più grande. Appresi che esistevano frasi come “solo come un cane”, osservando appunto che l’animale più affettuoso e fedele nei confronti dell’uomo per antonomasia è sempre stato un animale solo, incompleto senza qualcuno che si prenda cura di lui.

E scoprii che essere dare del cane a una persona, invece che essere un complimento, una lode per il coraggio e la devozione, invece era tra i peggiori insulti che si potessero fare. E mi sforzai di capire per quale motivo essere cinico, essere come un cane, dovesse per forza significare disprezzare e diffidare l’uno dell’altro, mentre non c’è animale più genuinamente amico di un cane.

E “mondo cane” era una maledizione urbis et orbis, passare una vita da cani è vivere nelle ristrettezze, una donna di facili costumi è una cagna, e se proprio vogliamo bestemmiare Dio allora basta dirgli “Dio cane” e lui capirà quanto lo odiamo.

L’uomo disprezza il cane, disprezza l’essere che più lo ama.


Eppure la storia e i miti ci insegnano che i cani sono stati capaci delle azioni più miracolose e belle che possiamo ricordare. Uno tra tutti Argo, che riconosce Ulisse dopo averlo aspettato vent’anni, lo riconosce nonostante avesse assunto la forma di un vecchio, ne riconosce l’odore, e gli muore tra le gambe, felice di averlo atteso molto oltre la naturale vita di un cane.

Quale uomo farebbe altrettanto? Quale altro animale? Argo è un mito, ma noi ci crediamo che un cane possa davvero fare questo, ce lo aspettiamo, lo sappiamo. E il cane lo fa.


Cane dovrebbe essere complimento. Terribile con i nemici e mansueto con gli amici. Quale altro animale è in grado di distinguerli o che gliene freghi qualcosa?


Tra gli insulti meno comprensibili, poi, ho appreso anche il dare del “cane da guardia” a certi tizi che avvertono qualcuno del pericolo che incombe. Come se il cane fosse inutile, anzi, che questa sua capacità non fosse una virtù ma un difetto.


Anche scodinzolare è insulto. Un lacché lo si insulta facendogli notare il movimento della coda del cane di fronte al padrone.

Questo appresi sul cane e cominciai a domandarmi se questa reputazione fosse fondata. Ma ovunque guardassi, ovunque indagassi, pensassi, ragionassi, leggessi, il cane era sempre amato e bistrattato. Un essere da mettere al suo posto, a cui gridare cuccia e dal quale aspettarsi immediata ubbidienza. Che non sporcasse e che comprendesse il linguaggio umano erano grandi doti per una bestia come il cane, non essendosi mai sforzato l’uomo di comprendere il linguaggio del cane.


Forse fu Shakespeare a dire che non c’è nulla che un cane brama come premio più di un fischio del padrone e aveva ragione, perché il cane non chiede nulla. Il cane gioca, pretende con sfacciataggine quando è viziato, ma è sempre lui il primo ad accoglierci quando rincasiamo, imparando a comprendere tra milioni la frequenza e il peso del nostro passo, il nostro odore anche coperto da mille profumi, la nostra voce nel frastuono di migliaia di voci.

Forse è l’umiltà di questo animale che riesce a tirar fuori da certa gente il peggio di loro. Forse è questo continuo dare e dare del cane all’uomo che lo rende così disprezzabile. L’uomo in fondo non comprende il cane. Ci è sempre stato accanto, ci ha aiutato a cacciare quando vivevamo solo di caccia, ha governato le nostre greggi, ci ha seguito in guerra quando abbiamo combattuto, ci ha protetti nel sonno, ci ha difeso dai nemici, si è scagliato contro animali ben più grossi di lui, in questo sovrastandoci in coraggio per sempre.

E per cosa poi? Non per cibo, non per calore, non per privilegi, ma per il piacere della nostra compagnia e apprezzando una carezza come regalo quasi immeritato tante sono le feste che da a chi gli è accanto.

Diogene si fece cane perché non riconosceva il valore degli uomini, si umiliò, si disprezzò, si ridusse a cibarsi di immondizia, si fece il primo cinico. Diogene disprezzò i cani più di ogni altro, condannandosi alla loro vita come se per i cani fosse disgustosa la vita priva di un uomo al quale stare accanto.

Per lui il cane solo era la più inutile tra le creature e si fece cane in cerca di un uomo al quale scodinzolare attorno e leccare la mano. Diogene disprezzò i cani interpretandone la vita. Come noi disprezziamo i cani che interpretano, in certi quadri dell’assurdo o in certe rappresentazioni sceniche, figure di uomo, avvertendo assurdità e disagio.

Chi non odia la Vergine Cuccia? Chi ha come personaggio preferito Ettore, il mastino che morde il gatto Tom che insegue il topo Gerry? Pippo, della Disney, è un cane umanizzato e per questo sconta il peccato originale di aver preteso di essere migliore, vivendo una vita goffa, dinoccolata, sempliciotta, stupida. Molto meglio Pluto, che è cane vero, scemo sempre, ma cane a quattro zampe. Che sta al posto suo.

Noi tutti abbiamo pregiudizi nei confronti dei cani, anche quelli che tra noi li amano davvero. Provino lorsignori a fare un esperimento. Prendano un’immagine di un quadro famoso in cui si esalta la bellezza dell’uomo o della donna, un quadro di Botticelli, Reonior, Manet, Gauguin, Michelangelo, Goya… e ora sovrapponete ai volti perfetti di uomini e donne di quelle tele, di quegli affreschi, i volti dei cani. Proverete disgusto, sentirete in cuor vostro che è stata fatta offesa a quelle bellezze corrompendole con un viso che vi guarda, appunto, in cagnesco.


Molto meno disagio proverete usando il volto di una bella gatta.
A dire il vero, eccezioni ce ne sono. Chi non apprezza Snoopy? A chi non piacciono i 101 dalmata? Chi non apprezza l’intelligenza di certi cani da film, a dire il vero un po’ troppo perfettini per essere simpatici?



Ma perché l’uomo non riesce ad amare il cane? Forse perché diffida di lui.

Forse non riesce a capire, lui sì davvero cinico, per quale motivo qualcuno abbia tutta questa forza e amore da dare e dare e dare senza chiedere mai nulla in cambio.

Forse l’uomo non si fida di tanta fiducia, di tanta cieca dedizione, ti tanto semplice amore incondizionato. Cosa vuole da noi il cane, sembra chiedersi. Che ci guadagna in cambio? La risposta non soddisfa, niente o una carezza è troppo poco. Anche l’amore, per l’uomo, ha un prezzo.

Forse l’uomo non ricorda che anche lui diventa cane in un breve periodo della sua vita. A volte neppure tanto breve. L’uomo diventa cane da adolescente, quando scodinzola attorno alla ragazzina con le treccine, tanto carina che imbarazza guardarla. Lei sorride e si struscia come una gatta, vanitosa e vitrea, molle e umorale. L’uomo invece è cane.

Fedele, ossessionato dal volerle stare accanto, accondiscendente. Manda giù amari bocconi di umiliazione senza battere ciglio, con la lingua penzoloni aspettando una carezza o un fischio. E allora saltella, zampetta, guaisce, latra, si contorce dal godimento di ricevere attenzioni.

L’uomo si fa cane e poi, massacrato dalle delusioni, si fa cinico e smette di scodinzolare. Chi prima, chi dopo.


Il cane mai. Il cane scodinzola sempre. Il cane non si fa cinico che per un uomo che lo maltratta non conserva il trauma e si dedica anima e corpo a qualsiasi altro padrone lo apprezzi. Il cane non diventa mai cinico. E forse è questo che ce lo fa odiare, il suo essere eternamente adolescente, mentre noi invecchiamo e moriamo disillusi, delusi, tristi. Noi lo invidiamo il cane, ne invidiamo la genuinità. Per questo lo odiamo.

E se fossi credente, se fossi vero cristiano, non cristiano che predica povertà e che sguazza poi nell’oro, crederei che Dio è veramente tra noi, che Dio c’è sotto forma di cane.

E allora davvero Dio cane. Meglio che uomo.

F.to Jonny Wolf Ad honorem “Grande Maestro dell’Anubismo”

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